Ciao a tutt*,
come molti di voi in questi giorni stiamo seguendo il dibattito feroce sul ddl Cirinnà e le reazioni sui social delle varie fazioni.
In un momento così è difficile pensare ad altro: la settimana appena iniziata sarà decisiva per il futuro di tutta la comunità LGBT italiana e ci rendiamo conto che, comunque andrà, sarà un periodo che non dimenticheremo facilmente.
Qualche giorno fa, però, abbiamo scovato in rete un articolo (un enorme grazie a Chiara Reali per la dritta!) che ha catturato la nostra attenzione perché solleva una questione molto attuale per diverse persone bisessuali, me compresa: posso definirmi gay, anche se in realtà sono bi?
È una domanda che mi tocca personalmente: mi capita spessissimo, in situazioni in cui non c’è tempo/modo di dare spiegazioni approfondite, di non specificare il mio orientamento, lasciando così che le persone pensino che sono lesbica. Succede spesso negli eventi a tematica LGBT (tranne ai pride, dove porto con orgoglio la bandiera bi), oppure quando incontriamo per caso una coppia di donne o di uomini e ci si presenta al volo… Anche quando ho fatto coming out con i miei non ho usato etichette: ho semplicemente detto “sono una donna e sto con un’altra donna”. Ma è giusto farlo o ci si complica ancora di più la vita?
L’articolo che segue è tratto da Everyone is gay, un blog tumblr che vi consigliamo caldamente di seguire perché è davvero molto carino.
Ecco la traduzione in italiano (qui potete trovare la versione originale):
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Buckybarnesfanatic chiede:
“Posso definirmi gay anche se in realtà sono bisessuale? “Gay” è diventato un termine così inclusivo che è molto più facile da usare, ma se non va bene smetterò di farlo”
Kristin risponde:
Okay, calma. C’è un SACCO di roba di cui parlare, quindi vediamo una cosa per volta.
Innanzitutto, puoi anche definirti “giraffa” se ti fa sentire a tuo agio. Le parole, specialmente quando c’è di mezzo l’orientamento sessuale, possono essere estremamente complicate ed è sacrosanto poter adottare il termine che ci corrisponde di più. Non è nemmeno obbligatorio scegliere una parola sola: puoi usare una combinazione di termini, oppure raccontare tutta la tua storia utilizzando una serie di categorie per definirti.
Questo approccio l’ho ribattezzato “Metodo Kristin Russo” e lo userò per definire il mio rapporto con le parole che descrivono l’orientamento sessuale. Spero che lo troverai utile.
Ho fatto coming out come bisessuale a 17 anni. Per me aveva senso perché sapevo benissimo che mi innamoravo delle ragazze, ma ero altrettanto certa che mi sarebbe piaciuto ancora fare sesso con i ragazzi (in particolare se assomigliavano a Brad Pitt in Thelma e Louise, ma questa è un’altra storia che, purtroppo, svela anche la mia età!). Le nozioni che avevo nel 1998 mi hanno portata a definirmi in quel modo perché allora non avevo idea che il genere fosse un concetto più complicato e che non funzionava in modo binario. Stai ancora leggendo? PERFETTO! Dicevamo, ho fatto coming out come bisessuale e ho utilizzato questa definizione con orgoglio fino a quando mia madre non ha cominciato a dirmi MA KRISTIN, SE SEI BISESSUALE PERCHÉ NON TI METTI CON UN RAGAZZO? E la mia risposta è stata OK MAMMA, DIMENTICA QUELLO CHE TI HO DETTO, SONO LESBICA.
Sul serio, ho deciso di definirmi lesbica solo per non farmi rompere le scatole da mia madre. Da quel momento in poi ho avuto storie con ragazze per un bel po’ e non ho più rimesso in discussione la cosa, anche se non mi sono mai sentita davvero a mio agio in questa definizione. Qualche tempo dopo, all’università, ho scoperto la parola “queer”. Ho pensato “Che bello! È un po’ come una coperta calda quando fuori fa freddo. Forza, venite tutti sotto la coperta queer: si sta benissimo!”
Finché (e qui mi ricollego a te, caro lettore) un paio di anni fa ho iniziato a chiedermi perché ho messo da parte la parola “bisessuale” senza pensarci su più di tanto. Il motivo è che mi stavo rendendo conto di quanto i bisessuali venissero completamente cancellati da moltissime comunità. Ho sentito persone queer definire i bisessuali in termini derogatori tanto quanto le persone non queer. Per non parlare dello studio fatto dall’HRC. Insomma, avevo tanto su cui riflettere.
Tutto ciò mi ha portato a rimettere in discussione il mio orientamento alla tenera età di 34 anni. Volevo riappropriarmi del termine “bisessuale”, volevo che tutti lo sapessero e iniziassero a rifletterci davvero e sentivo che la mia esperienza poteva dare un contributo significativo.
Quindi, caro lettore, ecco cosa penso: hai ragione. Dire “sono gay” è molto semplice. Tuttavia, sebbene tu abbia tutto il diritto di fare ciò che vuoi (vedi la storia della giraffa), voglio comunque dirti che alla lunga dare una risposta semplice complica di più le cose: per te, per me e per tutti. Mi piacerebbe che tu lo tenessi presente nel scegliere un termine che descriva te, le tue attrazioni e i tuoi sentimenti… perché io avrei voluto farlo prima di scartare la parola “bisessuale” tanti anni fa.
Ad ogni modo, identificarti come bisessuale non significa che tu debba dare sempre la stessa spiegazione, né che a volte tu non possa semplicemente dire “sì, sono gay” e finirla lì. Capita anche a me (ecco un aneddoto in cui racconto di quando ho finto di avere un fidanzato all’ufficio passaporti) e va bene così. Tuttavia, potresti scoprire che il fatto che la gente ti faccia più domande o che cerchi di comprendere la complessità del tuo orientamento è un’opportunità che ti dà molto più potere di quanto pensi.
Buona serata,
Kristin
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E voi, cosa ne pensate? Come preferite definirvi?
Aspettiamo le vostre risposte 🙂
Francesca
Credit per l’immagine: http://nianu09.deviantart.com/
Innanzitutto parto con il dirvi grazie perchè questo articolo esprime un concetto che condiviso. Non mi sono mai piaciute le etichette le parole affibbbiate a qualcuno solo perchè ” va bene cosi”, come dite voi giustamente una persona è e resta una persona con le persone versoi cui è attratto e i suoi sentimenti emozioni e sensazioni sacrosante. Scusate il preambolo. Per quanto mi riguarda bisessuale è il termine in cui mi sento più a mio agio, forse crudo o forte ma quello con cui mi sento più me stessa