In questo periodo storico in tutto il mondo si parla tanto di migrazioni e di come funziona l’accoglienza di chi, per vari motivi, deve lasciare il proprio Paese perché in pericolo di vita.
Tra di loro ci sono anche persone LGBT+ che provengono da nazioni in cui la loro identità mette a rischio la loro stessa sopravvivenza.
Ci sono ben 72 paesi al mondo infatti che ritengono ancora oggi che le persone LGBT+ commettano dei reati per il semplice fatto di essere quello che sono; tra questi paesi, ben 8 contemplano ancora la pena di morte per omosessualità.
Nel 2017 l’ONU ha approvato una risoluzione per chiedere ai paesi membri di non usare la pena di morte per motivi discriminatori, nonostante il voto contrario di Bangladesh, Botswana, Burundi, Cina, Giappone, Qatar, Egitto, Etiopia, India, Iraq, Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita.
Per fortuna però nei casi in cui vi è un serio pericolo per la propria incolumità, una persona ha il diritto di chiedere protezione internazionale attraverso un iter ben preciso che coinvolge varie figure professionali: operatori dell’accoglienza, ma anche volontari, cittadini ed istituzioni.
Quello di cui spesso non si parla è cosa succede in questo percorso e come vengono più o meno riconosciute le identità e gli orientamenti sessuali.
In Italia ci sono varie associazioni che si occupano di aiutare i migranti LGBT+ in questo percorso di richiesta e ottenimento della protezione internazionale, tra cui MigraBo.
Tra i migranti LGBT+ i bisessuali sono, come sempre, i più invisibili e la loro storia viene spesso cancellata e trasformata qualcosa di diverso perché spesso gli stessi operatori non hanno informazioni adeguate su questo orientamento sessuale; per questo motivo cercano di indirizzare la memoria scritta della persona, necessaria per poter ottenere la protezione internazionale, in qualcosa di diverso, più conosciuto e più “vendibile” alle commissioni territoriali che devono stabilire se concedere o meno il permesso di restare nel nostro Paese.
Con MigraBo e il Dott. Aurelio Castro, dottorando in Scienze Sociali all’Università degli Studi di Padova, abbiamo pensato che in occasione del Bi Visibility Day 2018, sarebbe stato importante parlare di chi, tra tutti, è ancora più invisibilizzato e cancellato nella propria identità rispetto agli altri.
Abbiamo dunque unito le forze e creato questo report che mira a dare una corretta informazione agli operatori dell’accoglienza, alle istituzioni, al personale dei servizi, ma anche a tutti i cittadini che vogliono capire un po’ meglio quanto la bisessualità posso influire nei percorsi delle persone migranti che arrivano nel nostro Paese.
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