Il CO per Leo
Nella mia ormai non brevissima vita ho conosciuto diverse persone che non hanno mai fatto Coming Out. Non so se nemmeno con loro stessi si siano mai dichiarati ma sicuramente, quelli a cui sto pensando, non l’hanno fatto con me e abbastanza evidentemente nemmeno con altri.
Per questo vorrei che il Coming Out day fosse non solo un giorno di celebrazione dei CO che sono stati fatti: quelli di cui siamo stati diretti o indiretti testimoni per averlo saputo con felicità estrema, quelli di cui siamo stati protagonisti quando l’abbiamo detto noi a qualcuno o altri di cui siamo stati diretti referenti, magari nella confessione di un* amic*.
Vorrei obbligarmi, ogni anno (ma anche un po’ di più) durante il CO day, a pensare a tutti i CO mancati. I miei in primis: quelli che non ho fatto perché ho lasciato perdere, perché avevo paura, perché ho rimandato. Così, pensando a me, comprenderei di più tutte le persone che non riescono o non possono farlo e a quello che posso fare io per loro.
Posso tentare di accrescere sempre di più la coscienza collettiva e la soglia di consapevolezza con l’attivismo, ma anche con l’onestà, con la tranquillità, l’apertura nell’accettare il mio come l’altrui orientamento sessuale (come sappiamo, non è detto che un membro di una sigla LGBT+ sia automaticamente tollerante nei confronti soprattutto di un bisessuale).
Il CO può essere doloroso, conflittuale, pacifico, automatico, sofferto, sconvolgente, problematico, dalle conseguenze devastanti, spumeggiante, liberatorio, rassegnato, entusiasmante ma quello che è certo è che sarà sempre qualcosa che cambia o quello che c’è dentro di noi o quello che c’è fuori o entrambe le cose. Per questo motivo va preso, è vero, senza troppa pesantezza sul cuore, ma con il massimo rispetto, sia che si decida di farlo, sia che si procrastini, sia che si scelga di non rivelare mai chi siamo veramente.