Lo scorso gennaio abbiamo tradotto un articolo di un giornalista australiano che analizzava le grandi difficoltà che gli uomini bi incontrano nel fare coming out sul posto di lavoro.
Abbiamo quindi invitato tutti i nostri lettori a partecipare ad un piccolo progetto di Bproud finalizzato a raccogliere una serie di esperienze dirette in merito (anche la nostra Francesca ha raccolto l’invito e potete leggere la sua esperienza QUI.) Perché questo progetto è sotto forma di interviste? Perché conoscere le esperienze degli altri dalla loro viva voce (senza modifiche da parte di chi edita) è sempre il modo migliore per sentirsi protagonisti, per cogliere il vero significato delle loro parole e ritrovarle in se stessi. Questa è quindi la finalità di questa breve serie di articoli: non analizzare le statistiche ma il semplice “raccontare”.
Cominciamo dall’esperienza di Andrea, uomo bi, 30 anni di Forlì, che convive con il suo compagno da due anni e da quella di Alex, 27 anni, non binary. Entrambe le loro testimonianze ci mostrano come la scelta del coming out sia spesso legata all’ambiente in cui lavoriamo e che molto spesso le difficoltà di tutti i giorni si possono superare anche grazie all’aiuto di validi alleati.
Andrea
Qual è il tuo lavoro attuale? Lavoro da 4 anni in un’azienda multinazionale del settore degli elettrodomestici, come ingegnere in laboratorio prove.
Hai avuto esperienze lavorative precedenti? Prima di questo lavoro ho lavorato a Milano, la città di cui sono originario, sempre nello stesso settore per 1 anno, in un istituto di certificazione, subito dopo la laurea.
Sei mai stat* out al lavoro? Se sì, puoi raccontare la tua esperienza, difficoltà, vantaggi e svantaggi che hai notato nella tua vita professionale quotidiana e nell’approccio dei tuoi colleghi? Nel mio primo lavoro non ero out, sul mio secondo lavoro sì. Vantaggi, li vedo, per fortuna. Li vedo dal punto di vista professionale, perché essendo onesto e aperto con tutt* ottieni fiducia, perché dai tu per primo fiducia, aprendoti su un aspetto così intimo di te stesso, e quindi crei un clima di fiducia, che ti consente di lavorare in un clima sereno, di apertura e confronto. Soprattutto vedo i vantaggi dalla mia prospettiva, perché a non doversi nascondere, stare vaghi sulla persona che frequenti, riesci ad essere più sereno e più disponibile coi colleghi, fornitori, persone che incontri e non stai in un continuo stato di allarme. Svantaggi: quando hai a che fare con un/a collega omobitransfobic*, spesso vedi che è a disagio e riduce al minimo la comunicazione. Difficoltà: quando si fanno battute/discorsi discriminatori, dando per scontato che non ci siano persone LGBTQIA nella stanza, non sempre ho la possibilità di ribattere a fondo quanto vorrei e mi tocca mordermi la lingua, quando vorrei mandare a quel paese sia chi fa queste battute, sia, soprattutto, chi ne ride. In generale, però, considero positiva la mia esperienza sul mondo del lavoro.
Ci sono colleghi LG out nel tuo posto di lavoro? Ci sono altre persone LGBTQIA nella mia azienda, ma sono l’unica persona out&proud nella mia cerchia di colleghe/i. Di vista le conosco queste persone, ma non ho modo di collaborare con loro
Se non sei out, puoi spiegarci perché? Riferito al mio vecchio lavoro, non ero out perché ero uscito allo scoperto con tutt* da poco tempo e avevo bisogno di tempo per esplorarmi e il clima generale era molto sessista e maschilista.
Alex
AVVISO DI CONTENUTO: bifobia, omofobia, transfobia.
Qual è il tuo lavoro attuale? Lavoro in un ufficio marketing e commerciale.
Hai avuto esperienze lavorative precedenti? Sì ho avuto altri lavori in precedenza, molti durati pochi mesi. Quello attuale è il più duraturo fin ora.
Sei mai stat* out al lavoro? Se sì, puoi raccontare la tua esperienza, difficoltà, vantaggi e svantaggi che hai notato nella tua vita professionale quotidiana e nell’approccio dei tuoi colleghi? Sono stat* out come bi nei vari lavori degli ultimissimi anni. Ho sempre fatto una valutazione dell’ambiente, dei colleghi e delle colleghe e anche nelle situazioni in cui ho ritenuto fosse meglio tacere (per l’ambiente chiuso mentalmente) il CO l’ho fatto lo stesso (come bi, l’argomento genere non l’ho mai toccato finora).
Dopo uno dei miei primi coming out sul lavoro ho avuto un’esperienza molto positiva. Il mio capo era gay, una mia collega era femminista. L’apertura mentale c’era e a nessuno è importato. Per il resto ho avuto esperienze varie, una positiva e alcune negative. Il CO è sempre stato seguito da qualche reazione spiacevole. Di solito come reazione sul momento, due volte la cosa si è protratta nel tempo. Racconto due degli episodi che più mi hanno segnat*.
Il primo con un vicino di ufficio. Quando ho detto di avere una ragazza lui prima è rimasto ghiacciato e dopo mi ha chiesto conferma. Dopo pochi giorni ci rincrociamo in pausa pranzo per la prima volta e noto che mi fissa insistentemente e con uno sguardo strano mentre mangia. Schifo. Ci ho messo un pomeriggio a collegare, non mi ricordavo neanche del nostro ultimo scambio. Da allora non gli ho più rivolto la parola.
Il secondo scambio spiacevole/piacevole è stato con due ragazze dell’alternanza scuola lavoro. Una ha lavorato con lo schifoso di prima e una con la mia azienda. Durante una pausa pranzo tra una chiacchiera e l’altra si apre il discorso orientamento e io introduco la bisessualità. Partono entrambe con affermazioni bifobiche (ma anche omofobe e transfobiche) da fanatismo religioso. Una dice: “Non posso vedere gli uomini gay sui tacchi”. Non so cosa c’entrasse ma è stata una delle prime cose che ha detto. Ha nominato Adamo ed Eva, ha fatto slut shaming su delle ragazze bi che segue su Instagram. L’altra ragazza l’ha seguita a ruota. Io le ho sistemate a parole, senza esagerare visto che sono più piccole di me e inoltre temevo di scaldarmi troppo e finire a insulti.
Qualche giorno dopo il capo della ragazza mi chiede se c’è stato qualche problema con la ragazza che lavora per lei (le è giunta la voce da un passaggio di comunicazioni nel suo ufficio, io non ne ho parlato con nessuno). È stata molto carina, ha capito ancora prima di parlare con me che la ragazza si era comportata male. Io colpit* da un momento di bifobia interiorizzata ho pensato di aver messo la ragazza nei guai e con l’intenzione di sminuire il suo comportamento e di coprirla ho detto che io sono bisessuale. Lei giustamente mi ha risposto: “E quindi? Il rispetto deve esserci comunque”. Le sono ancora molto grata per avermelo ricordato. Magari potrebbe anche ricordarlo a suo fratello, il tipo dallo sguardo schifoso. In tutto questo i miei capi, pur informati, non hanno detto nulla a me e quindi penso neanche all’altra ragazza bifobica che ha lavorato per noi.
In generale il CO è stato spesso accolto con una qualche reazione dall’imbarazzo al gelo, anche se l’argomento è sempre saltato fuori tra una chiacchiera e l’altra in modo spontaneo durante una qualche pausa. In seguito non ho notato particolari cambiamenti nel rapporto tra colleghi/capi a parte le situazioni dette prima e qualcun’altra che non voglio approfondire per non dilungarmi ulteriormente ma nulla di molto diverso da quello già detto.
Ci sono colleghi LG out nel tuo posto di lavoro? Se sì, ritieni che ci siano delle differenze nell’approccio verso una persona LG out e una BI?
Una volta ho lavorato in un posto dove c’era un ragazzo cis gay tra i dipendenti. Era un posto dove la mascolinità (tradizionale) era molto estremizzata. Ho avuto un’esperienza piuttosto negativa infatti non sono più volut* tornare dopo un po’, anche se quei soldi mi facevano comodo.
Quando ho fatto CO un collega mi si è accozzato addosso chiedendomi cose invadenti, bifobiche e transfobiche come “preferisci fare sesso con un trans o una trans”. E’ andato avanti per un po’ poi ha smesso. Il ragazzo cis gay nominato prima ha lavorato part time come me, non sempre nei miei stessi giorni quindi l’ho incrociato pochissime volte. Dopo un paio di mesi mi dicono che non lavora più lì. Aperto l’argomento gliene dicono dietro di ogni sprizzando mascolinità tossica e omofobia da tutte le parti. Il capo dice pure che se non se ne fosse andato lui l’avrebbe licenziato perchè era “il classico gay checca malato di sesso”. Detto da un tipo che dirige un’azienda in cui anche per il tipo di prodotto che vendono puntano tutto sul “vero maschio” e si salutano con “w la figa”, clienti inclusi.
Penso che in questo caso siamo stati entrambi penalizzati ma per motivi diversi. Lui non era considerato abbastanza uomo in quanto gay e aveva osato parlare del sesso col suo ragazzo, in un ambiente in cui si parla di sesso tutto il benedetto giorno ma solo quello tra uomo e donna (cis ovviamente) è ammesso. Io invece in quanto bisessuale e percepit* come donna sono stat* feticizzat* e oggettificat*.
A parte questa esperienza non ho mai saputo di persone LGTIA sul mio posto di lavoro. A parte il mio capo gay di cui ho parlato prima. Era il capo e quindi non vale :), ma nessuno dei/delle colleghe/colleghi ha mai parlato del suo orientamento in termini problematici.