Aurelio Castro è un’attivista e Dottore di ricerca all’Università di Bologna, conduce ricerche in ambito psicosociale sulla giustizia sociale, sessualità e genere, discriminazioni.
Dal 2015 svolge attività di informazione e formazione su tematiche LGBTQIA+, orientamento sessuale, relazioni e generi presso associazioni e organizzazioni. Ha impiegato il gioco di ruolo e i LARP (Live Action Role-Playing) come strumento per ridurre il pregiudizio e come processo di cambiamento sociale e personale.
Le sue aree di ricerca riguardano l’orientamento sessuale, la riduzione del pregiudizio e le disuguaglianze sociali, le bisessualità e attrazioni non-esclusive, la maschilità ed eterosessualità, le non-monogamie, la spiritualità e non religiosità.
Per Bproud ha scritto un articolo riguardo i giochi di ruolo e, nello specifico, un recente gioco di ruolo dove sono presenti anche personaggi bi+.
di Aurelio Castro
Guardando il cast di personaggi di una serie tv ci rende possibile guardare con sguardo altrui storie simili alle nostre, a quelle delle nostre comunità o identità che fanno parte di noi. Da queste rappresentazioni, dalla loro ricchezza di autenticità e/o stereotipi, possiamo vederci specchiatǝ in tanti modi diversi, capire qualcosa su di noi magari o le nostre relazioni. D’altronde, chi non ha mai voluto vivere in un periodo storico diverso dal proprio, o in un mondo simile a quello del proprio libro o film preferito? Magari poter anche cambiare il finale di una serie tv che non ci ha convinto o ri-raccontarne il mondo senza omolesbobitransfafobia.
Da sempre le persone raccontano storie per dare un senso agli eventi quotidiani o eccezionali, le si crea anche per rendere disponibili immaginari diversi e più autentici. Questi immaginari possiamo crearli individualmente (scrivendo racconti, libri o fanfiction certo) ma anche tramite la narrazione condivisa che ci mettono a disposizione i giochi di ruolo. Quello ludico è, infatti, un mondo dove le persone e la comunità LGBTQIA+ ha molto da dire.
Cosa sono i giochi di ruolo?
Ne esistono di diversi tipi e, per sintetizzare, consistono in delle conversazioni condivise al tavolo dove tutte le persone giocanti coinvolte portano avanti delle storie tra personaggi in un universo narrativo (es. fantasy, futuristico, noir, steampunk, soprannaturale, etc. etc.). Esplorando queste narrazioni e i loro temi possiamo esplorare situazioni fuori dall’ordinario o dei periodi storici, le relazioni tra una ristretta cerchia sociale o cosa vuol dire vivere in una società che opprime. Possiamo creare storie nuove o rielaborarne di passate.
Possibilità potenzialmente infinite negoziate da ciò che chiamiamo “sistemi di gioco” per guidare e mettere d’accordo tuttǝ le persone che giocano. In alcuni Giochi di Ruolo (o GDR) da tavolo si tirano dei dadi per tentare la fortuna durante un’impresa, in altri si segue più la “fiction” come se si stesse girando una serie TV. Ma che giochiate unǝ vampirǝ a Cuori di Mostro II, unǝ cultistǝ in Cthulhu, delle rivoluzionarie in Thirsty Sword Lesbians o una banda sgangherata di avventurierǝ in Dungeons & Dragons vi troverete attorno a un tavolo a mettere in scena delle storie.
Si può usare il gioco di ruolo per parlare di identità LGBTQIA+ nel gioco di ruolo?
Assolutamente sì, la fantasia e la creatività sono qualità necessaria al gioco e alla narrazione quindi c’è sicuramente, oggi più di ieri, spazio e rappresentazioni per le identità e persone queer. Storicamente anche nel gioco di ruolo – per molto tempo considerato solo terreno maschile eterosessuale – è stata presente una totale esclusione delle soggettività LGBITQ fino ai primi anni ’90.
In una loro ricerca sui manuali di gioco Tanja Sihvonen e Jaakko Stenros1 riportano una iniziale visione caricaturale e negativa delle identità queer per poi arrivare a una vera esplosione quasi rivoluzionaria sulle tematiche di genere, grazie anche a game designers queer e/o donne. C’è una storia queer nel gioco di ruolo, e il gioco di ruolo può raccontare storie queer e della comunità LGBTQIA+.
E le bisessualità?
Non sempre le bisessualità sono state rappresentate in modo adeguato, se non del tutto presenti. Se negli anni ’80 era considerata un lato oscuro della personalità in alcuni GDR, intorno gli anni 2000 vediamo nel gioco di ruolo Sine Requie che il “tratto” bisessualità ti fa evitare i pregiudizi rispetto all’essere “solo” omosessuale. Un falso mito, purtroppo ancora diffuso, poiché le persone bi+ affrontano doppie discriminazioni bifobiche da due “mondi”, etero e omosessuale. In controtendenza, oggi abbiamo invece sempre più giochi queer dove le bisessualità e le asessualità sono ben descritte e incentivate come in Thirsty Sword Lesbians (solo in inglese per ora purtroppo).
Una nuova aggiunta ai giochi apertamente queer è il recente Stonewall 1969 – una storia di guerra2 di Stefano Burchi, un gioco di ruolo italiano pensato per raccontare proprio quei Moti di Stonewall che hanno dato inizio alle lotte LGBT+ nelle notti tra il 27 e il 29 giugno 1969. Un gioco denso e coinvolgente per raccontare le storie di persone che affrontano le molte oppressioni di una società ingiusta, che lottano per i propri diritti e le proprie vite trovando l’orgoglio e la rabbia fino ad allora represse. Il gioco è ambientato, appunto, nel 1969 negli USA e chi gioca metterà in scena le vite di persone che – plausibilmente e senza pretesa di accuratezza storica al 100% – potevano essere allo Stonewall Inn durante la rivolta.
I personaggi in Stonewall 1969 – una storia di guerra affrontano delle situazioni e delle vite “problematiche” proprio perché inserite in un contesto sociale dove le persone non eterosessuali e trans* venivano considerate devianti e “malate”. Delle tematiche che il gioco affronta con cura e con la piena sicurezza per chi decide di giocarlo, fornendo gli strumenti per riflettere anche sul linguaggio usato negli anni ’60 e su come è cambiato ai giorni nostri.
All’interno del manuale viene discusso l’uso che è stato fatto di parole offensive e dispregiative verso le minoranze, ovviamente non per avallare l’uso di questi termini ma per evidenziare come siano uno strumento sottile e pericoloso di oppressione. A cui rispondere rivoltandosi e lanciando mattoni. È dai moti di Stonewall, infatti, che si diffonde il motto “Gay Power” gridato durante le rivolte del 27-28 Giugno 1969 contro la polizia, la mafia e lo stato che opprimono le soggettività LGBTQ+, razzializzate, povere e ai margini.
Tra i 14 personaggi del cast di Stonewall ce ne sono 3 bisessuali che affrontano delle storie spesso comuni per chi prova attrazione verso più di un genere, calate nel contesto degli anni ’60. Tra la storia di Gary che si ritrova diviso tra due mondi, da un lato il lavoro e una famiglia borghese nella società puritana statunitense e dall’altro il senso di colpa per frequentare locali gay e la sua recente bisessualità.
O di Daniel ex-veterano del Vietnam mandato a casa con disonore e senza sussidio perché bisessuale, nella Christopher Street aiuta chi ne ha bisogno. Oppure di Karen che dopo la fine di una lunga relazione segreta con una donna si ritrova allo Stonewall Inn per seguire il fascino di Theresa, anche se vengono entrambe da mondi opposti. Oltre a questi troviamo molteplici personaggi dalle diverse intersezioni tra genere, razzializzazione e classe sociale, dai personaggi di ogni genere (anche se il termine non binario all’epoca non c’era) e orientamento sessuale.
Tutti questi personaggi, alla fine, si ritroveranno allo Stonewall Inn quando scoppierà la rivolta contro la brutalità della polizia. Il come accadrà e che significato avrà per loro si giocherà al tavolo insieme. Dal mio punto di vista, è stato rincuorante vedere la B presente in un gioco sulla comunità LGBTQIA+ in maniera sfaccettata e multidimensionale. Storie quasi archetipiche per chi è bi+, ma non banalizzate poiché calate in un preciso contesto storico dove la parola bisessuale c’era (pensiamo a Brenda Howard, la madre del Pride) ma sicuramente ancora circondata da stima anche dentro gli stessi spazi gay.
Alla fine della storia, potremmo chiederci perché giocare dei giochi queer quando già le nostre vite sono rese difficili dalle discriminazioni e dallo stress dell’essere una minoranza. Non necessariamente è una modalità che può fare per tuttз, anche se è alla portata di chiunque, perché magari preferiamo vedere in terza persona delle storie queer su altri formati, dai fumetti alle serie tv. Ciò nonostante, l’atto creativo condiviso in sé può essere sia liberatorio che di esplorazione, poiché dentro quello spazio più sicuro che dobbiamo creare al tavolo da gioco possiamo prenderci ciò non ci viene dato e che vogliamo: autenticità, rivendicazioni, finali meno drammatici e, cosa importante, a volte trovare delle storie dove le nostre identità sono solo la quotidianità.
Infine, il gran potenziale di un gioco sulla storia della comunità LGBTQIA+ è che ci può far ricordare – e fare esperienza mediata – chi siamo state e che cosa continuiamo ad affrontare. Se ogni giugno, infatti, si festeggia l’orgoglio LGBTQIA+ è proprio per ricordare i Moti di Stonewall e quelle fatidiche notti i cui “la prima volta fu rivolta” e tutte le persone che hanno lottato, ieri e oggi. E le persone bi+ e con orientamenti non esclusivi c’erano.
Oltre a osservarne le rappresentazioni, è fondamentale ricordarci che il Pride non è solo occasione di festa ma anche di rivolta e rivendicazione per tuttз noi. Rendere più queer lo spazio ludico passa anche da questo.
1 Tradotta e pubblicata in italiano in un capitolo del volume Fuori dal Dungeon. Genere, razza e classe nel gioco di ruolo occidentale, a cura di Marta Palvarini per Asterisco Edizioni.
2 https://www.kickstarter.com/projects/stonewall1969/stonewall-1969-a-war-story-rpg?lang=it, per la versione italiana qui: https://asteriscoedizioni.com/mirror/
Credit delle illustrazioni: Michela da Sacco