È già passato quasi un mese dall’attentato avvenuto nel club gay Pulse di Orlando, Florida. Nel frattempo, purtroppo, abbiamo assistito a diverse altre stragi: Istanbul, Dacca e Bagdad, l’ultima in ordine cronologico, in cui sono morte più di 200 persone, tra cui molti bambini.
Al di là delle motivazioni e delle rivendicazioni dietro questi massacri, ciò che ci viene più spontaneo fare in queste circostanze è stringerci attorno ai nostri cari, cercare l’affetto e la solidarietà dei nostri simili. Fa parte della natura umana.
Nel caso di Orlando, però, il fatto che sia stata definita una “strage di gay” ha fatto sì che moltissime persone, che teoricamente fanno parte della comunità LGBTQ, non si siano sentite pienamente in diritto di piangere quelle vittime.
Tra queste c’è Elle Dowd, donna bisessuale sposata con un uomo e autrice di un articolo che offre molti spunti di riflessione sulle conseguenze più subdole della bifobia.
Qui trovate l’articolo originale in inglese; dato che non è di facile comprensione, vi proponiamo di seguito la traduzione integrale.
Fateci sapere cosa ne pensate.
F.
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Elle Dowd
La bifobia e il massacro del Pulse
Traduzione a cura di Francesca Bellan
Quando ho letto dei fatti di Orlando, mi trovavo tra persone etero. Con la mentalità aperta, alleati, ma pur sempre etero.
Mi trovavo con loro perché ero a casa mia con mio marito e mia figlia. Passo molto tempo con gli eterosessuali (succede, quando ti sposi con un uomo etero cisgender), ma oggi l’ho notato più di ogni altro giorno. Quando ho appreso la notizia, non vedevo l’ora di poter stare in compagnia di persone queer.
Essere una donna bisessuale comporta occupare un sacco di zone grigie. In questo senso, siamo la quintessenza del queer: non ci troviamo a nostro agio negli spazi limitati. Troppo gay per essere etero, troppo etero per essere gay: spesso veniamo escluse dalle risorse e dal supporto destinato alla comunità queer a causa della bifobia e della bi-erasure (cancellazione intenzionale dell’orientamento bisessuale nei media e nelle comunità LGBTQ, ndt), mentre dall’altra parte veniamo sessualizzate e trattate come oggetti dallo sguardo maschile della cultura eteronormativa. Non c’è da stupirsi che le donne bisessuali siano le più soggette a problemi di salute mentale.
Essere bi dà il privilegio di poter “passare per etero”. Dato che sono sposata con un uomo e che sono molto femminile, la maggior parte delle persone dà per scontato che io sia etero. Non devo preoccuparmi che qualcuno mi picchi quando tengo mio marito per mano in pubblico. Il mio matrimonio viene riconosciuto ovunque. Non temo che il fatto di essere queer possa farmi perdere il lavoro. Non ho paura che qualcuno per strada possa abbassare il finestrino e urlarmi qualche insulto a causa del mio orientamento sessuale.
Tuttavia, tale privilegio ha un prezzo pesantissimo: la mia identità viene negata, cancellata. E non l’ho mai sentito così intensamente come oggi, mentre piango le vittime di Orlando.
Il privilegio di sembrare etero, la bi-erasure e l’invisibilità delle femme fanno sì che, a meno che io non dica esplicitamente “sono queer”, si dà per scontato che io sia etero. Ciò significa che quando faccio coming out con le persone queste non capiscono, perché non rientro nelle categorie a cui sono abituate. Significa che gli etero fanno battute allusive su “Spring Break” o Katy Perry. Significa che gli uomini etero mi chiedono se possono guardare. Significa che sia i gay sia gli etero NON MI CREDONO quando dico di essere gay. Significa dover fare coming out continuamente… a volte anche con la stessa persona. Significa che mi tocca rientrare in quel maledetto armadio ogni giorno. Fa male, sempre, ma oggi, con questa ferita ancora aperta, la bifobia e la bi-erasure sono insopportabili.
Significa anche che mi sento molto sola.
Mi sento sola oggi in questa casa di persone etero. Con la mentalità aperta, alleati, ma pur sempre etero.
Mi sento sola quando la comunità queer parla di lottare contro l’omofobia organizzando kiss-in. Se bacio il mio partner in pubblico non provoco nessuna reazione di odio (ed è un privilegio). Quindi… dov’è la mia protesta? Evidentemente sto sbagliando qualcosa.
Ed è a questo punto che arriva il senso di colpa. Un senso di colpa profondo, che mi fa sentire isolata, perché deriva dalla bifobia interiorizzata.
Ho diritto a sentirmi così devastata, così piena di rabbia?
Sono abbastanza gay per provare dolore per questa notizia?
Mi sto appropriando di un lutto che appartiene ai gay veri?
Fa male. Oltre al dolore della perdita, oltre al pensiero che dice “potevo essere io, potevano essere i miei amici”, oltre al terrore psicologico, c’è anche una terribile sensazione di insicurezza.
Ringrazio Dio per la comunità queer radicale, che mi ha aiutato a scrollarmi di dosso un po’ del mio senso di colpa per non essere “abbastanza gay”. Mi hanno sostenuta in passato e lo fanno tuttora, perché mi ricordano chi sono. Mi ricordano che anch’io conto, che non ho niente di sbagliato, che le mie emozioni sono legittime, che la mia protesta è il solo fatto che io esista, che mi merito di essere qui.
Arriva un messaggio dalla mia amica bi: “Come stai?”
“Sono arrabbiatissima”, le rispondo, “ma mi sento anche in colpa… ho diritto di provare queste cose? Forse dovrei essere triste solo al 50%”. Cerco di scherzarci su, ma lei capisce.
Perché sa esattamente come mi sento.
“Hai diritto di essere triste al 100%, Elle. Perché sei queer al 100%. E perché sono sicura al 100% che in quel club c’erano anche dei bisessuali.
La bi-erasure non dovrebbe essere l’ennesima conseguenza di questa violenza.”
La bi-erasure non dovrebbe essere l’ennesima conseguenza di questa violenza.
Mentre piango i morti di Orlando, capisco di essere ancora alle prese con la mia bifobia interiorizzata. Per la maggior parte del tempo, mi sento ancora esclusa da tutto.
Ma è proprio per questo che abbiamo una comunità.
Per ricordarci che siamo in molti a essere esclusi; e che se dobbiamo essere esclusi, almeno possiamo esserlo insieme.
Per ricordarci che non siamo soli.
È proprio questo che vorrei dirvi: non siete soli.
Bisessuali, pansessuali, polisessuali, non monosessuali: quando avete paura di non essere “abbastanza gay”, quando la vostra identità viene cancellata, quando sentite che non esiste alcun posto per voi… non siete soli.
Asessuali, intersessuali e chiunque venga di solito escluso quando si parla di comunità LGBTQ+ intendendo in realtà solo gay e lesbiche… non siete soli.
Persone trans, quando i vostri successi e i contributi che avete dato al movimento vengono ignorati, quando il modello gay è rappresentato da un uomo cisgender borghese sorridente con una famiglia, quando temete per la vostra incolumità mentre vengono passate leggi anti-trans… non siete sole.
Persone di colore queer e/o trans, quando le vostre lotte vengono sfruttate per fini commerciali dalle stesse aziende che vi ignorano e vi maltrattano… quando venite escluse, non siete sole.
Persone queer senza documenti, quando gli eterosessuali che parlano di riforme dell’immigrazione cancellano le vostre lotte escludendovi dai discorsi sull’argomento, quando i gay dicono che queste riforme non fanno parte degli obiettivi della comunità… quando vi sentite isolate e dimenticate, non siete sole.
Queer latin*, artisti trans di colore, quando i media non dicono che la maggior parte delle vittime del Pulse erano parte della vostra comunità, non siete sole.
Siamo in molti a essere esclusi. Lo siamo per diversi motivi, ma siamo qui.
Insieme.
E non potrei avere compagnia migliore.
Immagine tratta da autostraddle.com