La monogamia non è mai stata il mio forte. Mai statə “capace” di avere una relazione esclusiva con una persona, che durasse più di pochi mesi. Questo fino a 12 anni fa. E anche 12 anni fa, quando ho conosciuto mio marito e sono, passatemi il termine, rimastə “folgoratə”, ero convintə che non sarei riuscitə a rimanere esclusivə per più di 6 mesi o forse un anno ad essere ottimisti. Spoiler: ci sono riuscitə, serenamente, tranquillamente, ma se la storia finisse qui questo sarebbe un assurdo articolo di sei righe.
Mi sono spesso chiestə: perché non riesco? Perché mi faccio trasportare così facilmente dall’emozione di incontrare nuove menti, nuove braccia, nuove gambe, nuove teste, dopo qualche mese che incontro una persona che mi piace tanto? Per cui provo un grandissimo trasporto, tanta stima, affetto e, spesso, amore? Perché non riesco ad essere una “brava persona”, a non pensare al futuro insieme ad un unico essere umano e domare questo tumulto continuo che sento dentro e che mi fa vivere costantemente con le farfalle nello stomaco?
Lo ammetto, ci sono cascatə anch’io e mi sono chiestə se non fosse la bisessualità. Maledetto morbo che mi trasforma in un pervertitə assetatə di sesso da due soldi! Ovviamente mi sono anche rispostə e, no, la bisessualità non c’entra niente. Sono sempre statə così, anche prima di “accorgermene per davvero” e fare coming out con me stessə: irrequietə, curiosə, attrattə dal nuovo, carnale e per niente spaventatə dalle emozioni sconosciute. Sarà il carattere, sarà il mio background poco stanziale, sarà la mancanza totale di remore religiose ma tant’è.
Ma come si traduce tutto questo nella vita quotidiana di unə che vive la sua giovinezza a fine anni ’90/inizio 2000?
Posso dire adesso che la scoperta del poliamore (nel senso di relazioni aperte consensuali) ha dato la svolta alla mia vita giovanile e non solo. Mi ha aiutato a capire meglio me stessə, le relazioni tra gli esseri umani, a maturare e ha contribuito a modellare il mio pensiero di persona adulta. Anche grazie alle mie esperienze poliamorose spero di riuscire a educare i miei figli a una maggiore accettazione dell’animo umano, a una gestione quanto più razionale della gelosia e della possessività (sentimenti che, proprio perché è stato necessario imparare a gestirli, considero un abominio e quanto di meno vicini alla passione e all’amore), a cercare di capire, di valutare, a essere più diplomatici nelle cose della vita.
Ma come è cominciato? All’inizio era la monogamia. Non c’erano mica alternative sapete? Alternative che non fossero molto lontane da una mentalità medio borghese, intendo. Ti piace una persona? Decidi di starci insieme? Ci stai e fate coppia fissa. E se non ti senti completo? Se non sei completamente soddisfatto? Vi lasciate. Sì ma se questa persona ti piace tanto ma senti che ti manca altro? Che puoi dare altro ma comunque sempre tanto sia a lei che, magari ad un’altra persona? Beh allora… mah allora… la tradisci. Però zittə, in silenzio, fai finta di niente, che sei mattə??
E quindi ho tradito e sono statə traditə. Ricordo ancora uno dei miei “ragazzini” (avevamo già 18 anni in realtà). Ci adoravamo. Andavamo in giro per il mondo (una volta siamo anche “scappati di casa”), ascoltavamo della musica improponibile, avevamo le stesse idee su tante cose e un’affinità fisica e mentale invidiabile per essere così “immaturi”. Ma eravamo irrequieti tutti e due e ci siamo traditi. Una cosa rapida, per entrambi, un’ occasione così, al volo, quasi indolore. Però no. Non possiamo stare insieme. Se ci siamo traditi è evidente che non ci amiamo più, che non ci rispettiamo più (anche se ce lo siamo detti subito, tutti e due). Due persone che hanno bisogno di altro non possono stare insieme, lasciamoci. E così abbiamo fatto. A pensarci ora? Se fossi statə più maturə avrei proposto di aspettare, di capire, di “aggiustarci”. Ci siamo pensati a lungo dopo esserci lasciati e un giorno, dopo tanti anni, ci siamo incontrati di nuovo, per caso, ad una festa di fine anno in una piazza gremita e guardati con quella dolcezza che nasce dal rimpianto di una cosa finita troppo presto. Un rimpianto immaturo, sicuramente, giovane, anzi giovanissimo, ma sempre un rimpianto.
Poi è arrivato il college, gli amici, la passione che dura un giorno, la consapevolezza definitiva della bisessualità, le gambe delle donne, le labbra delle donne, Charlotte dai lunghi capelli rossi che riusciva a buttar giù 6 boccali di Guinness alle feste e mi prendeva in giro perché io dopo il secondo ero andatə, e le notti passate “da me” ad aspettare l’alba e le promesse di portarmi a conoscere i suoi genitori e lo studio, i ragazzi, le ragazze (ma soprattutto le ragazze), le risate, la birra.
Quella irrequietezza tutta mia si è lasciata distrarre da molte altre irrequietezze.
E passano gli anni dello studio e arrivano quelli dei primi lavori e di un incontro che, adesso, posso dire fondamentale della mia vita. Ad una festa, ovviamente. Sulla spiaggia, mezzi ubriachi, in costume con troppa pelle scoperta e le inibizioni finite in fondo ad un angolo buio. Ma la cosa bella è che, una volta lucidi, ci guardiamo e ci piacciamo tanto. E usciamo, chiacchieriamo, parliamo. Stiamo insieme? Non lo so, dice lui, non sono sicuro, tu? Non lo so, dico io, non credo di essere in grado di essere fedele a lungo. Ok, dice lui.
E ci siamo messi insieme su un “non lo so”. Siamo entrati in simbiosi dopo un battito di ciglia e il suo carattere, così complicato e sfuggente, mi ha insegnato la pazienza, il silenzio, le parole dette al momento giusto e mi ha insegnato che quell’irrequietezza d’animo non deve necessariamente essere sbagliata. Ci siamo guardati e abbiamo detto: ti amo, voglio stare con te, sei il centro di me stesso in questo momento della nostra vita. E se ci piacciono anche altri? Ok, ma il centro di noi stessi siamo noi ed è qui che torniamo, ok? Ok.
Ho capito quindi il significato di poliamore, di provare attrazione fisica, intellettuale ed emotiva nei confronti di altre persone ma di riconoscere perfettamente la priorità. Il centro di noi stessi. Nella mia esperienza posso dire che una relazione aperta funziona quando quella “principale” è solidissima. Basata su un immenso rispetto, sulla massima sincerità (niente deve rimanere non detto) sia nei confronti del tuo partner principale che nei confronti degli altri, che siano abituali o meno, condivisi o meno.
Ricordo ancora quando suo fratello, monogamo per finta, di ritorno da una viaggio “allegro” in compagnia di amici e fratello, ci ha guardato sconvolto e stupito sapendo che lui mi aveva raccontato i dettagli del viaggio. “Ma queste non sono cose che si dicono” ha detto al fratello. “Noi ce le diciamo” ha risposto lui. E ci siamo sentiti forti, potenti e, onestamente, superiori. (PS. Il fratello in questione è stato beccato dalla ragazza con una decina di succhiotti dopo uno di questi viaggi allegri. Ricordo ancora le sue lacrime disperate e la pena che ho provato. Idiota).
Ma non è andata sempre liscia, ovviamente. C’è stato/a chi mi ha detto “no, il fatto che lui/lei lo sappia mi disgusta. Non è meglio che non lo sappia?” e ci sono stati tanti ma taaaaanti che mi hanno detto quella parolina così delicata che si usa sempre per offendere le donne, o quelle che la società percepisce come tali, nel profondo e che non riesco quasi più a dire e che è bandita in casa nostra anche solo per scherzo. Me l’hanno detta in tutte le sue varianti, accenti e dialetti. E piano piano il dubbio si è insinuato dentro di me e ha cominciato a demolire le mie sicurezze. Pentitə delle mia scelte? Mai. Più riservatə fino a diventare un segreto quasi ossessivo? Sì. Come ti fa sentire sporcə quella parolina! Inadatta, sbagliata, reietta. Invidio tante ragazzə di oggi che l’hanno “depotenziata”, resa un’arma da usare contro gli altri e da urlare con rabbia. “Ai miei tempi” io non ce l’ho fatta. E più spiegavo che era una scelta condivisa e sincera più mi guardavano con invidioso disprezzo.
Dopo questa storia ho incrociato tanti altri sguardi nella mia vita. Più giovani, più vecchi, molto più vecchi, morbidi, meno morbidi, morbidissimi. E poi è arrivata un’altra storia che è stata più lunga delle altre, anche questa poliamorosa. Vivevamo in due città diverse, weekend passati sui treni, vacanze rubate e lacrime ad ogni stazione. Ma forti, fortissimi nella nostra debolezza e sempre pronti ad accogliere l’altro tra le braccia. Abbiamo conosciuto le rispettive famiglie e abbiamo voluto bene anche a loro. Lui non aveva limiti, in nessun senso. Più giovane di me, poco più che maggiorenne, la strada della vita già stabilita da altri. E un giorno gli chiedo se gli piacciono anche i ragazzi (l’ho sempre sospettato) e lui dice “forse”. Non ho voluto forzarlo a scegliere un’etichetta che non era (e non è) pronto a mettersi e quando mi dice che non vuole un ragazzo ma vuole che io sia il suo ragazzo e la sua ragazza io dico “ok”. Ancora oggi, quando parliamo, lo immagino felice con un uomo. Ma non è assolutamente così. E’ un mio pensiero assurdo, da libro M/M di dubbio gusto, nato perché le donne continuano a fargli male e a me dispiace.
Mentre stavo con lui ho incontrato anche lei. Che viveva nella mia città e che è diventata l’altra parte di me e di lui. Una ragazza lesbica, il mio amore, timida come io non lo sono mai statə. Era la metà da proteggere, da adorare, da consigliare. E’ diventata la storia nella storia e c’è stato un momento in cui non potevo concepire la mia vita senza l’uno o senza l’altra. L’equilibrio perfetto fino a che non è diventato imperfetto (ma di questo parlerò un’altra volta). M. e M. (hanno lo stesso nome. Incredibile no?) passavano le ore a parlare di videogiochi di ruolo, una cosa che avevano in comune tra loro ma non con me. Era come il loro codice segreto lontano da me che li univa quando io non c’ero. A volte ci mettevamo tutti e tre sul divano, martoriato dal mio gatto, a guardare un film e dopo un po’ loro parlavano di videogiochi e io li guardavo senza interrompere. Mi piaceva sapere che andavano d’accordo.
Con i ragazzi di queste due storie sono rimastə in contatto. Con il primo abbiamo tanti amici in comune e ci siamo incontrati a un matrimonio recentemente: nessun imbarazzo ma tanta dolcezza nel ricordare insieme il passato e nello scoprire il nostro presente. Con il secondo ci sentiamo a volte e, tra una risata e l’altra, c’è sempre quella spalla così confortante durante le tempeste della vita. Non ha una vita facile. Con lei non ci sentiamo più, ma quando parlo con lui non posso non pensare anche a lei. E ne parliamo come se fosse ieri. E ci chiediamo dove sia adesso che non è più a fare colazione intorno al nostro tavolo.
Adesso? Adesso torniamo all’inizio della storia. Non ho neanche preso in considerazione “l’esclusività” quando ho conosciuto mio marito e invece. Dodici anni. Due figli fatti con maturità e cresciuti con determinazione. E un dialogo costante, un raccontarsi le cose belle ma anche e soprattutto i dubbi, le difficoltà, i desideri. È quantomeno ingenuo (o ipocrita) pensare che una volta trovata la persona della vita i nostri occhi non si posino più su nessun altro. E che l’amore che ti lega alla tua metà non si evolva mai, che sia sempre uguale a se stesso.
E allora? Allora se ne parla. Questo “qualcun altro” è irresistibile? O è solo un pensiero veloce? Fino ad ora nessuno è stato più irresistibile di noi stessi, di quello che abbiamo costruito, di quello che ci diamo tutti i giorni. Dei momenti in cui ci guardiamo e ci troviamo bellissimi anche se siamo ingrassati e con parecchie primavere in più sulle spalle. Sarà sempre così? Forse. O forse no. Non ci è dato saperlo. Ci penseremo se e quando succederà, impegnandoci al massimo per mantenere il nostro equilibrio e ricordarci che amore vuol dire tante cose.
Personalmente non riesco a pensare a persone che siano più di lui o neanche lontanamente vicine. Ma non escludo la possibilità di una favola condivisa. Una donna di cui innamorarci tutti e due e che completi la mia favola e i miei desideri. Vi immaginate? Vivere in tre con due bimbi, sereni, innamorati, da uguali. Tipo La casa nella prateria ma bisex e senza sfighe. E’ una favola, lo so e, onestamente, meglio che resti così che la realtà, almeno nel nostro paese, è un’altra cosa.
Uno dei grandi “regali” delle mie esperienze poliamorose è stato insegnarmi a “non tradire”. Non posso parlare per tutti ma chi ha relazioni aperte consensuali difficilmente tradirà, semplicemente perché non ne capisce il senso. Non ha senso. Il dialogo è il centro della relazione. Non mancano le difficoltà, i dubbi e qualche incertezza e magari ne parlerò più in là che questo post è già abbastanza lungo, ma in quale storia d’amore non mancano?