Questa storia necessiterebbe di un preambolo, ma è talmente lungo e ancora confuso nella mia mente che temo di non poterlo offrire. Almeno non ora.
Diciamo solamente che non sono mai stata una persona particolarmente femminile, ma negli ultimi anni la consapevolezza riguardo la mia identità di genere si è talmente chiarita da ricercare, appositamente, look “maschili”. Lo metto tra virgolette perché, per me, non esistono cose “da maschi” e cose “da femmine” ma se da una parte la nostra lingua non ci aiuta a rendere tutto neutro, dall’altra certe “genderizzazioni”, quando riguardano il nostro corpo, assumono una certa importanza. Per noi, non per gli altri.
Diciamo quindi che negli ultimi anni il mio stile, il mio modo di pormi, di camminare, di pensare al mio corpo e sì, anche di parlare (perché nonostante tutto, la nostra società ancora ritiene che ci siano modi di parlare più accettabili per un uomo e meno per una donna) ha assunto una forte connotazione maschile. Cosa questo voglia dire, non lo so.
Mia figlia più piccola, che ora ha 7 anni, non si ricorda una versione di me più neutra, se non forse per i capelli leggermente più lunghi che portavo fino a qualche anno fa. Non la ricorda, ma, dentro di lei, l’ha desiderata. E la desidera ancora.
Ha avuto qualche difficoltà, quando ha capito cosa volesse dire, in pratica, che la sua mamma “ama anche le donne e ha avuto delle fidanzate”. Gliel’avevo già detto ma l’aveva dimenticato e in fondo è questa l’essenza del coming out con i figli per un genitore bi: farlo tante volte. “Non sono sicura che questo mi piaccia, mamma”. Le ho chiesto perché e lei ha fatto spallucce.
Quando il discorso è ricapitato qualche settimana fa, la sua risposta è stata “embè? Che problema c’è?”. Ha rielaborato il concetto da sola, l’ha fatto suo e l’ha accettato come una delle tante variabili del mondo. Non è detto che non cambi idea tra qualche mese o tra qualche anno e che poi non la ricambi ancora, ovviamente. I figli, per fortuna, non sono nostri cloni ma persone a loro stanti. Il nostro esempio influisce fino ad un certo punto; oltre quello c’è il mondo, che li plasma, gli insegna e, a volte, li condiziona. Esattamente come possiamo fare noi.
E qui torniamo alle difficoltà che ancora ha nell’accettare una mamma “maschio”. Perché al di là del mio orientamento, diciamo che non nascondo il fatto di non essere “propriamente” cisgender. Potrebbero essere forti condizionamenti da fuori, ma potrebbero anche essere idee e sensazioni sue. Cose a cui crede fortemente e che potrebbero cambiare come no, al di là di quello che noi vogliamo per lei.
Per anni e un po’ anche adesso, i suoi disegni della famiglia hanno mostrato una mamma che, semplicemente, non ero io. Una mamma con la gonna, i capelli lunghi, grossi fiocchi sulla testa, ciglia lunghe e un po’ di rossetto. Una figura estremizzata all’esatto opposto della realtà.
In un primo momento non le ho detto niente, ma quando la cosa ha cominciato a ripetersi spesso le ho fatto notare che “mamma non è così”. E lei mi ha detto che lo sapeva ma che se mi faceva com’ero “non si capisce chi è la mamma e chi è il papà”. E’ una spiegazione che, almeno in apparenza, ha un suo senso. Lei, apparentemente, non ha rifiutato il mio essere “maschile” ma, oggettivamente, non sarebbe riuscita a far capire chi ero nel disegno. Un disegno sbilenco, privo di dettagli i cui personaggi devono essere estremizzati per poterli distinguere. Ecco quindi la necessità di attribuire caratteristiche femminili alla femmina e maschili al maschio. Per distinguere. Sarà stato solo quello? Al momento non so darmi una risposta.
Le ho risposto che capivo, ma rimaneva il fatto che quella non ero io e che non mi riconoscevo nei suoi disegni. Avrebbe dovuto trovare altri modi per distinguerci visto che io e il suo papà non siamo certo uguali.
E’ capitato anche che parlasse di mamme sempre associando lunghi capelli e visi truccati, scarpe con il tacco e gonne. Questa è l’immagine che lei ha della donna, della bellezza femminile. Lei ama immaginarsi ben vestita, con le scarpette belle. E’ l’immagine che più ama. I condizionamenti esterni sono evidenti, ma davvero non c’è niente di suo? Davvero l’essere umano nasce come una lavagna pulita su cui scrivere e basta? Sono certa che, crescendo, cambierà idea mille volte, ma quella immagine univoca della “femmina” potrebbe anche restare, perché magari è intimamente sua. O forse no.
Noi intanto andiamo avanti per la nostra strada di famiglia queer, che non riesce ad entrare negli schemi anche volendo, strani come gli Addams ma meno funerei. Una famiglia dove il papà ha caratteristiche da mamma e la mamma da papà e così è.
Questo è uno schizzo che ha fatto pochi giorni fa. Nonostante i miei capelli nel disegno siano sempre troppo lunghi e le spalle troppo strette, comincio a riconoscermi in quello che vedo. E lei, forse, comincia ad accettarlo.
Per i capelli del padre invece, aspettiamo la riapertura dei parrucchieri.