Potrebbe sembrare una domanda provocatoria, ma in realtà spesso, parlando con diverse persone, mi sono resa conto che su questo argomento c’è molta confusione… e forse è proprio questa confusione la causa di tanti fraintendimenti e delle enormi riserve che incontra la questione dell’introduzione del matrimonio tra persone dello stesso sesso in Italia, sia tra molti eterosessuali, sia in buona parte della comunità LGBT.
A essere sincera, fino a qualche anno fa nemmeno io avevo ben chiaro in cosa consistesse, a livello pratico, il matrimonio. Poi, quando ho iniziato a pianificare le mie nozze (per chi non avesse letto la mia presentazione personale, preciso che sono stata sposata, con rito civile, per un anno e ora sono separata legalmente da quasi un anno e mezzo), mi sono informata e ho finalmente cominciato a capirci un po’ di più.
Quando pensate al matrimonio, che immagine vi viene in mente?
Probabilmente fiori, abito bianco per lei, completo elegante per lui, invitati, genitori che piangono, pranzi interminabili, promesse d’amore eterno, riso, regali e chi più ne ha più ne metta. Nel 90% dei casi, aggiungerei anche musica solenne tipo marcia nuziale e, ovviamente, la chiesa, perché da bravi italiani il matrimonio religioso, almeno nell’immaginario comune, ce l’abbiamo nel DNA.
Ebbene, è importante sapere che tutto quello che ho citato *può* sicuramente far parte del matrimonio, ma *non costituisce*, in sé, la parte più importante del matrimonio stesso, ovvero i suoi effetti civili. Perché se da una parte è vero che in Italia la tradizione è molto legata all’idea del matrimonio in chiesa, è altrettanto vero che quest’ultimo rappresenta principalmente l’aspetto religioso della cerimonia. È solo a messa finita, quando ormai tutti sono già pronti per uscire a lanciare il riso, che viene celebrata la parte civile del rito, ovvero la lettura degli articoli 143, 144 e 147 del codice civile (riguardanti i diritti e doveri dei coniugi) e la firma dei novelli sposi. Fino a quel momento, per lo stato non è ancora avvenuto alcun matrimonio. Paradossalmente, due persone potrebbero anche decidere di sposarsi solo con rito canonico, senza che tale rito abbia alcuna valenza civile.
Cito da Wikipedia:
“Per la legge italiana la trascrizione nei registri dello stato civile del matrimonio canonico (valido solo per la Chiesa), con la sua trasformazione quindi in matrimonio concordatario (valido anche per lo Stato), non è affatto obbligatoria, mentre è fortemente consigliata dalla Chiesa al punto tale che per contrarre un matrimonio solo canonico necessita l’autorizzazione del Vescovo competente“.
(Se siete curiosi di saperne di più, ecco la pagina di Wikipedia che riguarda il matrimonio concordatario)
Prima del 1929, ovvero prima che venissero stipulati tra lo Stato italiano e la Santa Sede i famosi Patti Lateranensi (Codice civile art.82 – Concordato Lateranense del 11/2/1929 – Accordo di modificazione del 18/2/1984, ratificato con Legge 25/3/1985 n. 121), si dovevano fare addirittura due cerimonie separate: prima ci si sposava in comune, civilmente, e poi si celebrava il rito religioso. Credo che sia per questo motivo che alcune persone sono ancora fermamente convinte che una volta ottenute le pubblicazioni in Comune per lo stato si è già sposati (giuro, ne ho sentite davvero tante!)… Tant’è che in diverse regioni italiane questa procedura, ormai puramente burocratica, viene ancora chiamata “promessa di matrimonio” e addirittura festeggiata con fiori e pranzi. In realtà in quel momento non c’è ancora alcun impegno formale, né per lo Stato, né per la Chiesa. Tale è la confusione che regna…
In sé, la cerimonia civile dura, sì e no, 5 minuti. Per celebrarla, previo ottenimento delle pubblicazioni in Comune, che devono rimanere affisse per un paio di settimane (in modo da consentire a chi sia a conoscenza di eventuali impedimenti di opporsi), è necessaria solo la presenza dei due interessati, di due testimoni e di un impiegato dell’ufficio di Stato Civile. Due firme (anzi, quattro) e via. Volendo ci si può sposare in jeans e maglietta, prima di andare al lavoro. Si può fare a meno persino delle fedi, che in entrambi i riti sono puramente simboliche.
Tutto questo per dire cosa?
Semplicemente che il matrimonio, spogliato da tutte le sue valenze emotive, simboliche, tradizionali e religiose, altro non è che un contratto tra due persone che decidono di essere fedeli l’una all’altra, prestarsi reciproca assistenza e accogliere eventuali figli nati dall’unione.
E allora mi chiedo: se si tratta di un contratto privato, stipulato tra due persone, i cui effetti ricadono unicamente su di loro ed eventualmente sui figli generati, perché è un problema così grande accettare che tale diritto, che porta con sé anche dei doveri, venga esteso anche a due persone dello stesso sesso? Non c’entrano i figli, perché ovviamente due persone dello stesso sesso non possono procreare in modo naturale e nella questione che è attualmente in attesa di un responso presso la Corte Costituzionale non viene preso in considerazione questo aspetto. Non c’entrano nemmeno, a mio avviso, le proteste di chi dice che in questo modo lo Stato si dovrebbe sobbarcare di ulteriori spese per dare alle coppie omosessuali gli stessi sostegni che hanno le famiglie “normali”, perché non dimentichiamoci che una coppia di persone dello stesso sesso paga le tasse come tutti! E magari se io sto insieme alla mia compagna da X anni e dovessi morire prima di lei, mi sembra il minimo che parte dei soldi che *io* ho versato all’INPS per tutta la mia vita lavorativa vadano a lei invece che allo Stato. Paradossalmente, nessuno pensa che se un gay anziano, magari senza più parenti, si ammala e per lo Stato non ha un coniuge, sarà lo Stato stesso a doversi occupare interamente di lui… Senza parlare del fatto che una famiglia anagrafica paga più tasse, perché i redditi si sommano!
Insomma, ci si oppone per motivi religiosi e per negare chissà quali contributi statali, senza pensare che la religione non c’entra niente (ribadisco che la comunità LGBT chiede solo il matrimonio civile) e che ad alcuni diritti corrispondono doveri ben più onerosi. Basti pensare che mentre per sposarsi ci vogliono 5 minuti, per divorziare ci vogliono anni e tanti, tanti soldi. Io stessa, a fronte di queste considerazioni, anche se avessi la possibilità di sposare la mia compagna lo farei solo dopo averci pensato *molto* bene (credetemi, separarsi è davvero un calvario) e con non poche paure. Ma a maggior ragione, se molte coppie omosessuali, in piena e profonda consapevolezza dei diritti e dei doveri a cui vanno incontro, desiderano assumersi questo impegno, perché tante persone si sentono ancora in diritto di impedirlo o di giudicarlo sbagliato?
F.
vi commento questo, lo leggerete?! chissà 🙂
Ottimo lavoro ragazze! Me lo leggo tutto pian piano…per ora ha attirato la mia attenzione questa foto…qui c’è un po’ il culto di Ellen Degeneres…a noi manca una figura così! per ora vi saluto, scappo! un bacio