Virginia Woolf è una delle scrittrici più famose al mondo. Il suo nome e i suoi libri (Gita al faro, Orlando, Una stanza tutta per sé) sono conosciuti a livello mondiale. È considerata come una delle principali figure della letteratura del XX secolo. Non fu solo impegnata nella scrittura, ma fu anche un’attivista. Infatti, era attivamente impegnata nella lotta per la parità di diritti tra i due sessi.
Oggi voglio raccontarvi la storia della sua vita, perché, oltre alla sua importanza come figura letteraria e attivista femminista, Virginia era bisessuale.
Durante la sua infanzia non le fu concesso di frequentare alcun istituto scolastico, ma Virginia manifestò fin da subito un’inclinazione letteraria e diede vita, insieme al fratello Thoby, a un giornale domestico, Hyde Park Gate News, in cui scrivevano storie inventate. I ricordi più vivi e sereni della sua infanzia non erano quelli legati a Londra, ma a Saint Ives in Cornovaglia. Le memorie di queste vacanze in famiglia influenzarono uno dei suoi scritti di maggior successo, “Gita al faro”.
Il periodo di felicità, però, non durò molto. Nel 1895 Virginia venne colpita dalla morte della madre. Due anni dopo morì anche la sorellastra, Stella, e nel 1904 il padre. Questi eventi portarono Virginia al primo serio crollo nervoso. Inoltre, nel racconto autobiografico “Momenti di essere e altri racconti” riportò che lei e la sorella Vanessa Bell subirono abusi sessuali da parte dei fratellastri George e Gerald Duckworth. Questo ha sicuramente influito sui suoi frequenti esaurimenti nervosi, sulle crisi depressive e sui forti sbalzi d’umore che hanno caratterizzato la sua vita e che la portarono, in seguito, al suicidio.
Dopo la morte del padre, si trasferì con la sorella a Bloomsbury, dove insieme diedero vita al primo nucleo del circolo intellettuale noto come Bloomsbury Group. Nel 1912 si sposò con Leonard Woolf, un teorico della politica. Ebbe anche delle relazioni con alcune donne come Violet Dickinson, Vita Sackville-West, Ethel Smyth, che influenzarono profondamente la sua vita e le sue opere letterarie.
Alimentata da un clima di fervore intellettuale, Virginia iniziò a dare ripetizioni serali alle operaie in un collegio della periferia e ad avvicinarsi ai gruppi delle suffragette.
Nel 1913 però, dopo aver scritto il primo libro, cadde in una seconda depressione e tentò il suicidio. Per farle trovare fiducia ed equilibrio, il marito le propose di fondare un’impresa editoriale e nel 1917 nacque la Hogarth Press che pubblicò Katherine Mansfield, Italo Svevo, Sigmund Freud, Thomas Stearns Eliot, James Joyce e la stessa Virginia Woolf.
Virginia fu un’attivista all’interno dei movimenti femministi per il suffragio delle donne e rifletté più volte, nelle sue opere, sulla condizione femminile. Infatti, In “Una stanza tutta per sé” trattò il tema della discriminazione del ruolo della donna, mentre in “Le tre ghinee” del 1938 approfondì quello della figura dominante dell’uomo nella storia contemporanea. Il rapporto con la donna venne visto anche sul piano sentimentale dalla stessa Virginia con la sua storia d’amore con Vita Sackville-West che si riflesse nel romanzo “Orlando”.
Intanto le sue crisi depressive si fecero sempre più violente e incalzanti. Virginia amava circondarsi di persone, ma quando era sola ricadeva nello stato d’ansia e di sbalzi d’umore. A contribuire all’aumento delle sue fobie fu anche il procedere della guerra. Infine il 28 marzo del 1941, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, non lontano da casa. Prima di compiere tale gesto, lasciò una commovente nota al marito:
“Carissimo, sono certa di stare impazzendo di nuovo. Sento che non possiamo affrontare un altro di quei terribili momenti. E questa volta non guarirò. Inizio a sentire voci, e non riesco a concentrarmi. Perciò sto facendo quella che sembra la cosa migliore da fare. Tu mi hai dato la maggiore felicità possibile. Sei stato in ogni modo tutto ciò che nessuno avrebbe mai potuto essere. Non penso che due persone abbiano potuto essere più felici fino a quando è arrivata questa terribile malattia. Non posso più combattere. So che ti sto rovinando la vita, che senza di me potresti andare avanti. E lo farai lo so. Vedi non riesco neanche a scrivere questo come si deve. Non riesco a leggere. Quello che voglio dirti è che devo tutta la felicità della mia vita a te. Sei stato completamente paziente con me, e incredibilmente buono. Voglio dirlo – tutti lo sanno. Se qualcuno avesse potuto salvarmi saresti stato tu. Tutto se n’è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Non posso continuare a rovinarti la vita. Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi.”